Bitter, amaro, aperitivo… un settore in costante crescita, in termini di fatturato e in quanto a rilevanza sui banchi della mixology mondiale. Leila Salimbeni, per Pambianco Wine, analizza il panorama degli amari e dei bitter, esplorando i produttori, i diversi approcci e le reazioni dei bartender.
Tra i prodotti e i produttori presentati, anche DiBALDO con Un Bitter, e tra gli intervistati Baldo Baldinini. Dall’articolo:
“Al numero 162 di via di Ripetta, a Roma, c’è l’Amaro bar, primo indirizzo specializzato che, con oltre 500 etichette, tutte italiane, ospita tutto lo scibile in termini di Bitter e Amari: dall’agrumato al floreale, dal tonico al mentolato e, passando per il fruttato, arriva fino al medicinale a testimonianza di una funzione che la liquoristica nazionale mutua dalla farmacologia settecentesca e che, secondo Baldo Baldinini, profumiere e liquorista già famoso nel mondo per i suoi particolarissimi vermouth DiBaldo, “sopravvive nel doppio utilizzo che se ne fa ancora oggi, sia eupeptico che digestivo. E non è un caso – continua Baldinini – che l’amaro stia conquistando anche il mondo della mixology, dove si ritrova come attore sia protagonista che comprimario, dall’aperitivo al dopocena: non metto limiti alle destinazioni d’uso del Bitter, men che meno del mio che, dalla sua, ha un’altra peculiarità: al posto dell’acqua utilizzo il vino, in modo da ottenere un’intelaiatura gustativa più strutturata e profonda.”
“Per avere una prospettiva più profonda sul fenomeno abbiamo chiesto a Salvatore Castiglione, erudito bartender torinese officiante, oggi, nel salotto bolognese di Dolce & Salato, in piazza Santo Stefano, di descriverci la mixology contemporanea da un punto di vista bitter. Grazie a lui abbiamo scoperto che, benché si tratti di timide scosse, non possiamo ignorare che proprio Campari “sia uscita, nel 2016, con una limited edition label” che, in etichetta, riportava proprio il monito there’s no Negroni without Campari. “Ed è stata seguita a ruota da Martini con la sua Bitter Martini Riserva Speciale. Un tempo tutte le piccole aziende avevano il proprio bitter e, dopo averle ignorate per anni, adesso stiamo tornando lì”. “Prendi gli Stati Uniti, lì sono molto ricettivi ai nostri amari”, gli fa eco Rondani di Rinaldi Importatori. E difatti si tratta di un movimento globale, quello del Bitter italiano che, come sosteneva Baldinini “è perfettamente trasversale: non ha un’unica collocazione in mixology – chiosa Castiglione – quello fu un limite auto-imposto dal marketing dei grosso produttori che si è trasformato, a poco a poco, in un limite mentale del barman.”
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